Il blog di Michele Perucci

"Su scolte alle torri guardie armate
attente in silenzio vigilate"
(antico inno comunale di Assisi)

giovedì 15 novembre 2012

Avevo vent'anni nel '77. Alle primarie voto Renzi


(pubblicato da Gazebos! il 14.11.12)


C’è un grande rimosso collettivo nella nostra storia recente. Accanto ai misteri d’Italia, alle stragi e ai singoli tragici episodi – da Piazza Fontana al caso Moro- vive sommerso nelle memorie d’una generazione un sentimento e un impegno che tutti ci coinvolse: l’antagonismo fiorito e sovversivo del Movimento del ’77.

Misconosciuto dai fratelli maggiori, quegli  “zombie” sessantottini che noi spregiavamo in blocco, fattisi negli anni spocchiosa classe dirigente –e talora digerente. Leaderini stalinisti, i katanga di Avanguardia Operaia, Servire il Popolo e gruppetteria pestante.
Lotta Continua, più duttile e parolaia, il giornale pane quotidiano, sfogatoio ardente del movimento. Oppure  raffinati esegeti marxiani, intellòs iperuranici, Rossanande Manifeste e Castelline pduppine d’altera inarrivabile bellezza.
A un dipresso da noi, epperò da noi respinti – rottamati - con la veemente purità d’una fratellanza feroce, turgida d’adolescenze desideranti.
Soprattutto, movimento totalmente in/compreso, letteralmente ex-traneo, immediatamente s/comunicato dal grigiore austero e repressivo dei Pecchioli e del palindromo Asor, quel PCI all’apice dei trionfi elettorali e già così incartato nel compromesso berlingueriano, nel vitreo terrore di un epilogo cileno: per poi ritrovarsi con le monetine dell’epilogo craxiano.  
Cacciammo Luciano Lama –il grande sindacalista- nel febbraio, un marziano supponente sbarcato alla Sapienza: “Lama non l’ama nessuno”, “I Lama stanno in Tibet”. Con la creativa ironia e con la forza autonoma della contrapposizione, anche generazionale. Studenti già allora precari e proletari urbani, insieme contro tutti.
Kossiga ci mise del suo, e già nel marzo intorno tutto era incattivito e plumbeo: prima Francesco Lo Russo, poi a maggio Giorgiana. La bellezza creativa e orgogliosamente altra di una generazione compatta come mai prima – esclusi erano fascisti, protociellini e figgiciotti – fu spinta violentemente verso il nulla assassino della lotta armata. A settembre a Bologna, poi Walter Rossi: e tutto era già terminato, iniziava il piombo di anni orribili che non possono, non devono esser datati a partire da quella primavera, che anzi  si pose inizialmente come possibile e vitale via d’uscita, alla follia militarista delle ben preesistenti BR e alla cecità congiunta del compromesso storico.
Rileggo e riemergo a fatica da quelle immagini. C’è chi dice che un terzo di quella gioventù finì con le P38, un terzo si distrusse con l’eroina negli 80s e un terzo è sopravvissuta sommersa: nel sociale, nel volontariato, all’estero o nella professioni della comunicazione allora nascente.  Poche le proposte politiche negli anni in grado di scuoterla; spesso troppa la forza di quei ricordi e la pochezza del ventennio appena trascorso.
Matteo Renzi non è la palingenesi; il solo nominarlo in questo contesto mette un po’ a disagio. Eppure, se si vuol provare a riaprire gli occhi:  a quello stesso PCI che non visse né Bad Godesberg né la caduta del Muro, a chi ha fatto la Bolognina, la Cosa 1, la Cosa 2 senza mai pagare lo scotto della storia, dopo la stagione della destra gozzovigliante il piglio coraggiosamente rottamatore del Sindaco di Firenze ha dato la scossa più seria.
Già oggi Veltroni e D’Alema, proconsoli di quella FGCI che già nel ’77 voleva fermare il vento con le mani, non sono più presentabili in società, non hanno più altro da dirci. Per non dir di Marini Bindi& Co., im-popolari ostaggi di se stessi e simulacri d’una alta tradizione politica.
Chiaro che poi ci voglia una solida cultura di rinnovamento istituzionale – dalla legge elettorale uninominale maggioritaria ad un Presidente che la smetta di fare il Re senza essere eletto; chiaro che l’intuizione politica d’un PD maggioritario è quella giusta (basta Casini! ); evidente che le politiche del montismo non potranno essere acriticamente assunte, e che il riferimento Obamiano anche in questo può bene orientarci.
Ma ci voleva un primo passo: che si chiama Matteo, ha 37 anni ed è un ragazzo fortunato, a non aver vissuto gli anni di piombo; meno fortunato, a non aver goduto dell’unica stagione rivoluzionaria del dopoguerra, di un sentimento collettivo con punte di lancinante bellezza, di una stagione creativa da riprendere e rivalutare, dopo che le ingessature e gli odi incrociati del potere han cercato di nasconderla sotto lo zerbino della storia.

P.S. :
 ho la sensazione, direi la quasi certezza, che loschi residui del ’77 si annidino dietro il fantastico sito FB  “Marxisti per Tabacci” …

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