Il blog di Michele Perucci

"Su scolte alle torri guardie armate
attente in silenzio vigilate"
(antico inno comunale di Assisi)

martedì 30 ottobre 2012

Di quanto dolore

"Di quanto dolore sono fatte le nostre vite? Di quanto dolore evitabile?" (S.Tamaro, Per sempre


Magari poi scopriranno che è andata diversamente...vedrai...no, non può essere, è stata solo una tragica fatalità...Ma piantiamola di prenderci in giro, di autogiustificarci! Il dolore di quel bambino mi urla dentro, davvero, mi fa male pensarci: un dolore vero, non un rassicurante e socialmente accettabile disagio. Un dolore che è gli cresciuto in petto, giorno dopo giorno, in un silenzio senza risposta, nella tristezza di quei pomeriggi coi nonni, in quella solitudine per lui irredimibile.
Scusate l'autocitazione, a pochi giorni dall'altro bambino di Cittadella

Il divorzio è stata una importante e necessaria conquista civile, nell'Italia post-rurale dei Settanta; oggi la drammatizzazione del conflitto, con le coppie che salgono e scendono le scale dei tribunali, ha la sua radice culturale in un pensiero debole, tutto rivolto alla progressiva giuridicizzazione degli stessi rapporti primari tra le persone. 


lunedì 29 ottobre 2012

Incisòri di sicomòri

Profonda questa testimonianza di mons. Betori dal Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, conclusosi domenica; in particolare molto bella l'immagine del coltivatore di sicomòri, che solo attraverso un taglio portano frutto dolce e abbondante . 
Affermazioni intense e pure discutibili: ma appunto esse suscitano discussione, possono provocare una reazione comunque vitale in un popolo di Dio disperso quanto voglioso di tornare a parlare di questo,delle cose ultime, che sole sostanziano le penultime nelle quali altrimenti ci avvoltoliamo. 
Non sono le usuali parole in ecclesialese, né esse ripercorrono steccati oggi un po' stantii; descrivono piuttosto la scommessa autentica della silenziosa e all'apparenza irrilevante Chiesa de-costruita dall'umile e tenace orso Benedetto: scommettere sulla fede. Ché quando il Figlio dell'Uomo tornerà, troverà la fede sulla terra? 

Sicomori maturi


giovedì 25 ottobre 2012

Avercene


Qui di seguito la riflessione a caldo di Francesco Iacobini sul "ritiro" di Berlusconi. La mia amicizia con Iaco è nata proprio qui in rete anni fa, con grande naturalezza (mai visto prima!) , sull'onda di un'affinità umana e  culturale  dalle radici profonde. Questo pur nell'evidente differenza dei percorsi politici: lui è un moderato un po' alla Martinazzoli nello stile (non nei passaggi tattici della quotidianità politica) , grande appassionato di questioni ecclesiali, intensamente credente, il meglio della democristianeria d'antan in una persona di quindici anni più giovane. Questo è un piccolo osanna alla capacità di convivenza di stili e opzioni diverse, e ad una bella amicizia donata. 


"Anche se non l'ho demonizzato una sola volta, non ho mai votato Berlusconi e ho sempre considerato il berlusconismo un incidente della storia politica italiana. Lungo quanto si vuole, motivato da ragioni profonde, ma mai riducibile secondo me a una dinamica politica normale e sana. Del resto mi era chiaro che non era normale e sano nemmeno quanto accaduto con Tangentopoli, in alcuni aspetti, e che
 la serie delle stranezze italiane ci avrebbe portati lontani, molto.
Non stare con Berlusconi mi e' costato, anche sul piano delle possibilita' personali che forse, da militante politico appassionato, avrei avuto. Per chi non stava a sinistra, in questi 20 anni, non aderire allo schieramento di Arcore ha significato consegnarsi a un'area marginale e assai ristretta, oltre che precaria e incerta. Qualche volta sono stato tentato di trasformarmi in pidiellino, ma in effetti non c'ho mai pensato davvero seriamente. Un grande amico, forzaitaliota della prima ora, mi ha sempre detto, anche di fronte a qualche piccola proposta che mi arrivò: "Staresti malissimo, non è casa tua". Aveva ragione, e io ne sono stato fuori, non pentendomene mai, nonostante il peso di alcune rinunce.
Oggi Berlusconi stesso chiude un ciclo che era gia' finito, che secondo me lascia piu' saldi negativi che altro, anche nella mentalità di chi sta dall'altra parte, e i cui pochi semi positivi potranno germogliare solo grazie ad alcune energie giovani e pulite che comunque, attorno al berlusconismo, sono riuscite a formarsi (e mi piace qui citare ad esempio il combattivo e generoso Andrea Di Sorte, uno dei "formattatori" del PDL che ha capito presto che è tempo di rifare, più che di formattare).
Io spero che ora si cominci a costruire un vero Partito Popolare, liberale, sì, ma soprattutto democratico, sociale, solidale e costituzionale, con le radici ben piantate nella specifica tradizione italiana e il coraggio di dire cose nuove, anche controcorrente, sulla governance della societa' contemporanea, europea e mondiale. Cose che nemmeno la sinistra sta dicendo, ad esempio sull'effettivita' e la qualita' della democrazia ai tempi dell'economia globale e della rete. Il tutto a servizio della gente comune, senza scimmiottare impossibili partiti Tory, schieramenti "borghesi", ridicoli clerico-moderatismi o incommestibili spiriti del'94. 
L'ora dei popolari veri è questa, diversamente sarà diaspora totale, e la vita politica italiana - che non ha bisogno di partiti cerchiobottisti, ma di grandi forze in grado di governare e competere - si sprecherebbe in ulteriori dissipazioni, e non su un versante solo, perchè in politica tutto, in fondo, si tiene. A Silvio, comunque, l'onore delle armi, nel giorno del congedo."
Francesco Iacobini 

mercoledì 24 ottobre 2012

L'obbedienza non è più una virtù :-)

Merita riportare per intero da Europa l'odierno pezzo di Mario Barbi, deputato Pd di storica impronta prodiana, uno dei "padri" dell'idea stessa delle primarie. Toni accesi, ma non è il solo a rilevare il "riflesso stalinista" e il vezzo da centralismo democratico che sottostà alla redazione delle complesse regole (o certificazya) di voto per le primarie di novembre. Lo avrebbe magari rilevato anche Vendola, in altri tempi: oggi si adagia all'ombra rassicurante di una quercia...






Disobbediamo a quelle regole
Alle primarie non avrei dubbi. Sceglierei Renzi, l’unico, nonostante le opportunistiche reticenze, l’oggettiva inconsapevolezza e i giovanilistici limiti, a tenere aperta una prospettiva di centrosinistra alternativo alla destra. Un centrosinistra alternativo alla destra (più esteso dell’attuale piccolacoalizione/ sezione italiana del Pse) e una non compiutamente espressa, ma pure esistente, potenzialità di innovazione programmatica sul piano del governo e della riforma istituzionale del paese. Sceglierei Renzi, se a questo punto non avessi seri dubbi sull’utilità di andare a votare. Dubbi che hanno ormai raggiunto una fortissima intensità con la ufficializzazione delle regole di queste primarie, che impongono agli elettori una intollerabile gimcana concepita da apparati sospettosi e inefficienti che assomigliano pericolosamente alla nostra italica burocrazia che scarica sui cittadini le proprie incapacità e deficienze.
Per quale diavolo di ragione bisogna andarsi a registrare in un albo degli elettori in un ufficio non si sa dove, non si sa quando, gestito da non si sa chi, che risponde a non si sa come a non si sa chi? Per quale diavolo di ragione la firma di adesione all’appello per l’Italia Bene Comune (scritto in un italiano da esame di riparazione) non può essere fatta al momento del voto insieme alla trascrizione dei dati anagrafici individuali, come si è sempre fatto? E per quale ragione, al secondo turno (se ci sarà), dovrebbero poter votare, salvo eccezioni e supplementari gimcane, soltanto gli elettori del primo turno, contro ogni logica sistemica (sindaci, etc.) e contro ogni utile precedente (vedere le primarie del Ps francese)?
La risposta a queste domande è fin troppo semplice: perché si vuole restringere il campo a quelli di famiglia, a quelli che si sentono di sinistra da sempre, che ci credono, che hanno avuto la tessera del Pci o hanno quella della Cgil, che si iscrivono alla nostra “comunità” (anche a prezzo di ridurne il perimetro, come ha riconosciuto Bersani). Sarà che io sono allergico alle comunità, salvo quella familiare e quella del popolo di dio, ma a me queste regole delle primarie sembrano una gran “stronzata”. E mi sembra degno di un trailer da Ddr, il figurante bersaniano che si presenta in tv a dichiarare con una faccia tosta degna di miglior causa che “no, le regole sono sempre le stesse e l’unica che è cambiata è quella che ha permesso a Renzi di candidarsi…”. Ma per favore! Se mente sapendo di mentire è un truffatore. Se invece mente senza saperlo è un ignorante che dovrebbe studiare prima di parlare.
Queste regole ci dicono che la partita parte con il trucco, sotto il controllo completo degli apparati di partito (Pd, Sel e, con tutto il rispetto, Psi-fogliadifico) che sosterranno “naturalmente” la corsa dei loro segretari di partito, per il bene del partito… Non può che essere così. Come si fa ad accettare che la gestione di tutto l’apparato elettorale sia affidato non a figure imparziali e di assoluta garanzia, ma a due figure schierate e di parte come Luigi Berlinguer (presidente del Collegio dei garanti delle primarie) e Nico Stumpo (capoorganizzazione del Pd e membro della segreteria di Bersani)? Chi ci può assicurare che la ragione di partito (politica) non prevalga sul rispetto rigoroso delle regole (primato dei cittadini)? Per me queste garanzie a questo punto non sono affatto certe. E per questo non sono affatto sicuro che mi recherò a pre-iscrivermi e poi a votare. 
Per salvare queste primarie – già inficiate dalla piccola coalizione che le promuove e dall’incertezza su legge elettorale e destrutturazione del sistema bipolare – ci vorrebbe un moto di “disobbedienza civile”, un possente movimento di elettori di centrosinistra che si rifiutino di fare la gimcana delle pre-iscrizione alla “comunità dei democratici e dei progressisti” e si presentino invece al seggio, come sempre, con documento e tessera elettorale. E poi che li/ci cacciassero via… 
Mario Barbi

giovedì 18 ottobre 2012

E’ la Fgci del ’77 che ha rovinato il PD...

[Postato su LaScolta.ilcannocchiale.it il 20 settembre 2010

Davvero non se ne sentiva il bisogno…Certo quella Fgci – romana e nazionale - si è rivelata proprio come l’incubatore di tutti i peggiori errori politici della sinistra italiana: dallo scontro frontale col movimento– con la storica cazzata di Luciano Lama alla Sapienza – alle ripetute scorpionate di D’Alema nei confronti di ogni  possibile segretario diverso da lui, dalle pavide dimissioni di Veltroni nel 2008 al suo odierno scimmiottamento di quel che ha fatto Fini nel Pdl. 

                          

Un qualche contributo i due figicciotti l’hanno anche dato, le loro occasioni le hanno avute: l’uno divenne persino Presidente del Consiglio, al tempo dei Lotar, dei capitani coraggiosi e dei bombardamenti su Belgrado; l’altro al Lingotto fornì le parole-chiave di un tentativo politico “alto” : mix delle culture riformiste, primarie, bipolarismo, vocazione maggioritaria…Ci prese il 33% e poi si lasciò smantellare da Max the Red, dal  predellino e persino dai giovani turchi.

Ora basta: levateceli di torno. Bersani tiri fuori la grinta, curi un po’ la sua immagine, lasci stare il “Papa straniero” (chè BXVI è unico e pure vincente,come dimostrato in Inghilterra)  e si svincoli dalle servitù (di passaggio?) nei confronti di D’Alema: così, tanto per essere credibile. 

Le elezioni saranno magari prima del 2013: dobbiamo arrivarci con un Partito Democratico in salute, non frantumato in bande armate, incantate a rimirarsi nel retrovisore.

mercoledì 17 ottobre 2012

Poveri noi

Poveri noi


Orfani di Nicola? #primarieroma


Un mio raggionamento sulle #primarieroma, naturalmente su GAZEBOS! 

http://www.gazebos.it/2012/10/17/orfani-di-zingaretti-no-se.aspx


Il Partito Democratico si faccia subito promotore, quale principale partito del centrosinistra romano, di primarie aperte di coalizione, con tempi certi e regole credibili; esca dalla catalessi e dai giochini politicisti e si affidi al cuore e all’intelligenza dei suoi elettori, per selezionare un candidato Sindaco popolare e capace di camminare e costruire al fianco, speriamo, del nuovo Presidente della Regione Lazio.
Grandi e ben legittime erano le aspettative che il popolo dei democratici romani riponeva in Nicola Zingaretti. Bonomia, efficienza, attenzione al sociale e alle solidarietà, unitamente a quel pizzico di orgoglio “di sezione” e alle affidabili capacità politiche: tutte doti che già lo indicavano come sicuro successore di Aledanno sullo scranno più alto in Campidoglio. Da quattro anni Zingaretti “studiava da Sindaco”, applicando buone pratiche nel vasto territorio della Provincia con il supporto di una equilibrata giunta di centrosinistra (senza trattino) e di alcuni capaci registi, tra cui Claudio Cecchini, Assessore alle Politiche Sociali,  già  vicedirettore della Caritas romana ai tempi del grande Don Luigi Di Liegro.
Nel volgere di un solo pomeriggio, una riunione flash del PD regionale – in seguito allo sfascio della giunta Polverini – ha spedito in soffitta quella speranza così a lungo ben coltivata, indicando come destinazione per l’attuale Presidente della Provincia non più il Campidoglio, bensì la sede della Regione in via Cristoforo Colombo (alla Pisana ha invece sede l’ormai  famigerato Consiglio Regionale del Lazio). Sempre che gli elettori siano d’accordo, Zingaretti ha quindi dignitosamente comunicato il suo “Obbedisco!”.
Al di là della disciplina e degli opportunismi di partito, la vicenda ricorda nel suo svolgimento – mutatis mutandis – il diktat fallimentare con cui nel 2008 ci si accordò sulla ri-candidatura di Rutelli: col bel risultato che abbiamo veduto in questi anni. Un vulnus al sentire comune dell’elettorato del centrosinistra, anche stavolta scavalcato da decisioni prese sopra le sue teste e pedagogicamente indirizzato là dove l’apparato desidera: una concezione neo-leninista, diciamo.
“Commissariata” in tal modo la Regione Lazio, ci si ritrova col fianco scoperto proprio sul versante simbolico più importante: il Comune di Roma. Nell’incertezza è già  tutto un pullulare di autocandidature, dalle più banali alle più improbabili, fino agli immancabili candidati a tutto e alle trovate di marketing sul colle del Gianicolo. Ad oggi non è stata formalizzata in alcuna sede democratica la procedura delle primarie per Roma, sola pratica politica che, come sta avvenendo a livello nazionale, ridarebbe fiato e gambe alla politica romana,  e insieme ad un dibattito sulla Capitale che ambisca a sollevarsi dal mediocre livello  offerto in questi anni da Alemanno e dai suoi camerati.
Nel frattempo si è fatto il nome forte e prestigioso di Andrea Riccardi, pensando di sistemare la questione attraverso un concordato con l’area moderata/montiana; ma il capo di Sant’Egidio è troppo preziosa risorsa di governo nazionale, presente e futuribile, perché Oltretevere la si arrischi tra i dissestati quartieri dell’Urbe. Il rischio di un Campidoglio neoguelfo, egemonizzato dalla Comunità di S.Maria in Trastevere con la guida spirituale del cardinabile Mons. Paglia, vescovo di Terni-Narni, sarebbe stato controproducente persino per i sofisticati disegni del card. Ruini, riapparso in tivvù con magico tempismo e in splendida forma.
I tessitori di professione, gli artigiani della politique politiciènne de noantri si son così ritrovati al punto di partenza. Nel fiorire delle autocandidature e dei populismi, nel "silenzio degli innocenti" il centrosinistra romano rischia di non riuscire a cogliere il momentum di grande favore popolare; non a caso il piccolo Sindaco rialza la testa, schernendo il caos del campo d’Agramante e annunciando battaglia: riusciremo anche in questo innominabile capolavoro?

"Io non ci credo"

venerdì 12 ottobre 2012

Non si abbandonano i figli così



Sul bimbo di Cittadella: polizia allucinante, e va bene; giudici cinici, e va bé...Ma di questi "genitori"?!?! che possiamo dire? Non li fate i figli, se non li amate più di voi stessi. 
Il divorzio è stata una importante e necessaria conquista civile, nell'Italia post-rurale dei Settanta; oggi la drammatizzazione del conflitto, con le coppie che salgono e scendono le scale dei tribunali, ha la sua radice culturale in un pensiero debole, tutto rivolto alla progressiva giuridicizzazione degli stessi rapporti primari tra le persone. Non ricordo quale frate disse che il buon cristiano non va per avvocati...(qui a Formiconi je fischieno le recchie!

mercoledì 10 ottobre 2012

lunedì 8 ottobre 2012

Laicità, Comunitarismo, Primarie

La bussola della laicità nell'agire politicamente è il lascito vivificante del cristianesimo, di cui è innervata tutta  la cultura europea e, certo con modi e sensibilità differenziate, anche quella nordamericana. In modo radicalmente diverso quel rapporto è inteso, com'è noto, nelle culture orientali, dalla Umma islamica sino al confucianesimo o all'induismo. 


Ultimamente si nota  un certo revival , nell'utilizzo sociologico e giornalistico, del termine "comunità politica". Il comunitarismo come storico sembiante politico, con le sue novecentesche logiche di appartenza e fedeltà, permea di sé l'attualità ben più di quanto non si creda: da Scientology alle sette neoprotestanti, dal campanilismo "sangue e terra" dei localismi a certe derive identitarie degli stessi Movimenti ecclesiali. In ultimo, si son segnalati alle cronache i rischi spersonalizzanti del marketing politico individuante,  praticato attraverso il Web, nell'apparente  paradosso di una democrazia (etero)diretta. 

Sano antidoto al comunitarismo  - categoria ben nota e studiata dalle scienze della politica- per un cristiano è senz'altro l'abbeverarsi alla fonte della Parola, che richiama e impegna la responsabilità personale nella gestione del dono della fede: sia nella "comunità ecclesiale" che all'interno della Città degli uomini. 

Il Vangelo e le primarie del centrosinistra











venerdì 5 ottobre 2012

Oltre la Diaz: un'utopia?



- Foto Premio non violenza 2012- 



Roma 5 ottobre 2012 


Manifestazione studenti medi


Non c'era un'altra risposta? #tecnicicinici



giovedì 4 ottobre 2012

Nozze di Francesco con Madonna Povertà



Stazione Ostiense per il PD

Oscar Farinetti: ''voterò Renzi alle primarie''. La lunga lettera del fondatore di Eataly

Al di là dell'endorsement, questo intevento fa capire anzitutto le capacità di visione di chi si è inventato il fenomeno Eataly praticamente dal nulla.
La stazione Ostiense per i romani non era che uno squallido capannone, sfatto di degrado, destinato in modo ineluttabile all'unico ruolo di memento dell'imprinting originario di Italia '90 e delle collegate  ruberie. In pochi mesi è  divenuta snodo del nuovo traffico ferroviario di Italo e laboratorio gastronomico d'avanguardia, dall'ampio respiro globale. 
Da quella ben visibile e godibile esperienza le parole di Farinetti traggono la loro lineare credibilità; non un pensiero politico "alto", ma alcuni chiari e condivisibili principi: 

  • Come non iscritto al PD, ma da sempre appartenente ad un pensiero di sinistra, sono contento di poter scegliere tra queste quattro persone. Pensando lealmente che, qualora vinca un candidato diverso da quello che voterò, farò quanto è possibile per appoggiarlo affinchè il centro-sinistra vinca alle elezioni Politiche
  • Sono portato a scegliere Renzi perché ritengo basilare il rinnovamento della classe politica italiana. Occorre uscire dai soliti schemi di pensiero che mixano autoreferenzialità, complicazione e inerzia
  • è proprio il coraggio il valore che più manca in questo momento nel nostro paese a tutti i livelli. Il coraggio è contagioso. Abbiamo bisogno di un contagio fenomenale di coraggio
  • voterò PD anche se Renzi non vincesse le Primarie